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domenica 17 febbraio 2013

Anche "Banco! L'urlo del Palaeur" domani a Frascati a "Comunicando nel basket"



Lunedì 18 febbraio nella Sala degli Specchi del Comune di Frascati si terrà la conferenza "COMUNICANDO NEL BASKET". E ci saremo anche noi, perché si parlerà di identità e storia, del Bancoroma, del libro, di tante altre cose.

L'evento, ideato da Simone Timpone e realizzato grazie alla collaborazione dell'associazione SPORTLAB, nasce con l'intenzione di rimarcare l'importanza della Comunicazione nel mondo della pallacanestro. Una materia che molto spesso viene sottovalutata. Per parlarne interverranno professori universitari e giornalisti del settore, che animeranno un dibattito che ha l'obiettivo di fornire spunti, suggerimenti e idee ai dirigenti locali. Per ripartire, il basket italiano dovrà continuare ad aprirsi al mondo, cercando di creare un contatto diretto con il pubblico. La conferenza sarà introdotta da due professori universitari che descriveranno il perimetro dentro al quale si muove il movimento cestistico italiano ed il rapporto tra squadre locali e sponsor. Seguirà una tavola rotonda con esponenti di spicco della comunicazione sportiva, che parleranno delle problematiche vissute dal basket italiano negli ultimi anni. 


"Banco! L'urlo del Palaeur" non poteva mancare e vi aspetta nella Sala degli Specchi. Ne vale la pena, fidatevi.


sabato 2 febbraio 2013

Dido Guerrieri




Da "Il Romanista" di oggi

«Quando si toglie una squadra a un allenatore, è come se lo si demascolinizzasse». Scrisse così Dido Guerrieri, sul "Taccuino", la rubrica che per tantissimi anni ha tenuto su Superbasket, dopo essere stato esonerato dal Bancoroma nel gennaio 1988. Da ieri, senza distinzione di genere, il mondo del basket è deumanizzato, perché all’età di 81 anni Dido Guerrieri se n’è andato e con lui se ne vanno tante cose. Un pioniere della pallacanestro, un allenatore originale e preparato, uno scrittore sopraffino, ma soprattutto un personaggio la cui umanità ha segnato tutte le persone che l’hanno conosciuto. Non stava bene già da qualche anno, ma la notizia della sua morte ha colpito tutti. I giocatori che ha allenato, i colleghi a cui ha insegnato, gli appassionati che hanno applaudito le sue squadre, a prescindere dal tifo. Perché, come disse Larry Wright, che proprio lui riportò a Roma nel 1987, «chi non ama giocare per Guerrieri, non ama la pallacanestro». Non potevi non amare le sue squadre. Aggredivano, correvano, appena potevano tiravano, regalavano spettacolo. Se non segnavano almeno 100 punti, avevano sbagliato qualcosa. Sarebbe piaciuto a Zeman, su queste pagine possiamo permetterci di scriverlo. Non amava il calcio, ma simpatizzava per la Roma. Sarebbe nato a Testaccio, se il padre non avesse voluto farlo venire al mondo nella sua Civitavecchia, e quando tornò nella capitale per allenare il Bancoroma il suo assistente Gigi Satolli, romanista come pochi, lo portò allo stadio a vedere la Roma di Liedholm, che catturò nuovamente le sue simpatie.


Iniziò ad allenare a Forlì nel 1959. Fu il vice di Rubini al Simmenthal e negli Anni 70 allenò anche la rivale cittadina, la Pallacanestro Milano. Lavorò al Settore Squadre Nazionali e fu assistente del Ct Giancarlo Primo. Ha allenato anche Fortitudo Bologna, Udine, Venezia, Vigevano, Torino, Roma, Desio, ancora Torino, per poi trasferirsi a Seattle, dove viveva la figlia e da cui continuava a regalare splendide pagine di racconti americani per Superbasket. Pagine a cui era affidata la sua lettura non solo della pallacanestro, ma anche della vita e del mondo, che sapeva raccontare e osservare da un’angolazione tutta sua, di rara intelligenza. Per questo, forse, aveva spesso il capo reclinato da una parte.


Guerrieri apparteneva alla "scuola romana" di allenatori che si era formata con il professor Ferrero, nume tutelare della Ginnastica Roma 4 volte campione d’Italia. Di quella squadra, ma soprattutto di quella del dopoguerra, che non vinse ma rivoluzionò il gioco, si definì non un tifoso ma «un adoratore». Saltava la scuola per andare a vedere gli allenamenti al Muro Torto, non si perdeva una partita la domenica mattina alle 11. Memoria di ferro, avidamente curioso, conoscitore di tutto ciò che veniva dagli Stati Uniti, fu uno dei principali protagonisti dell’epoca in cui la pallacanestro italiana mise le basi per crescere. Nel 1971 scoprì in America la difesa "aiuto e recupero" e la provò con la Nazionale juniores. Valerio Bianchini, futuro coach del Bancoroma e della Nazionale, vide e ne scrisse su "Giganti del Basket", causando l’ira funesta di Giancarlo Primo, capo del settore squadre nazionali, che non avrebbe mai permesso a nessuno di provare qualcosa senza il suo consenso. Guerrieri fu costretto all’abiura, poi fu perdonato.


La sua squadra più bella è stata la Berloni Torino dei primi anni 80. La sua grande occasione persa è stata proprio a Roma, con il Banco. Ci arrivò nel 1986, portando con sé i due stranieri di Torino, Scott May e Mike Bantom. Con Sbarra, Gilardi e Polesello erano una squadra bellissima, che esprimeva la sintesi di tutto ciò che Guerrieri aveva nell’anima. Durò poco, finché non si fece male May. Al suo posto arrivò il mito Nba George Gervin, ma ci vollero troppi mesi per rimetterlo in forma. Ai playoff il Banco fu derubato a Pesaro, ma è opinione indiscussa e indiscutibile che se non si fosse fatto male May oggi gli scudetti nella bacheca della Virtus sarebbero due. L’anno successivo stupì tutti con una mossa che solo un sognatore come lui poteva pensare: riportare a Roma Larry Wright, che aveva dimostrato a Udine di essere ancora in grado di dire la sua. La squadra regalò partite bellissime, 9000 persone all’esordio contro Varese, 12000 contro la Scavolini, il record assoluto di punti della storia della Virtus (130-110 contro Brescia). Poi l’appendicite mise fuori squadra Wright e qualche sconfitta di troppo costò il posto a Guerrieri che, appena saputo dell’esonero, fu protagonista di una scena struggente. Rimase a spiare dai vetri della palestra di Settebagni l’allenamento diretto dal suo successore (Giancarlo Primo, per la serie "i casi della vita", che poi non sono mai tali). Nelle partite successive il Palaeur ancora inneggiava al suo nome.


La morte gli ha fatto paura per tanti anni. Nei suoi scritti la definiva «il nulla eterno» o «l’abisso». Quando morì un altro maestro di pallacanestro, Giancarlo Asteo, scrisse che si sentiva in colpa per essere rimasto in vita. Poi, quando nel 1991 la vide in faccia, perché un ictus lo colpì durante una partita a Reggio Emilia, la fine di tutto iniziò a fargli meno paura. La morte che non ha mai sopportato, però, è quella del suo gatto, che salvò dalle acque di Venezia e portò con sé ovunque. «La mia vita non potrà essere mai più la stessa, senza Silvestro. Ero disposto ad accettare la sua morte di vecchiaia, l’avrei tenuto in braccio io stesso. Il mio amico, il mio confidente, la mia creaturina mi ha lasciato; via lacrime maledette, e non lo vedrò mai più. Io so dov’è ora, lo vedo chiaramente; c’è un campo grandissimo di grano maturo, in mezzo al quale spicca un pino che si erge solitario. Lui è là, ai piedi del pino, che fa le fusa e mi aspetta. Ma io so che non lo raggiungerò mai, perché per me non ci sarà altri che il nulla, il nulla senza il mio Silvestro, e scusatemi se vi dico che sono disperato, non voglio nulla, né rispetto né conforto; lasciatemi solo con la mia disperazione». Chissà se il professore starà rileggendo queste parole, adesso, ai piedi del pino.